La fattispecie sottesa alla sentenza in esame è piuttosto frequente nella prassi e riguarda il caso in cui un immobile in comproprietà tra più soggetti, venga locato a mezzo di contratto sottoscritto da uno soltanto dei comproprietari che provvede anche all’incasso dei canoni.
Le questioni che rilevano in tale fattispecie attengono alla qualificazione e regolazione dei rapporti tra inquilino e i comproprietari non firmatari del contratto nonche all’eventuale effetto liberatorio dell’integrale pagamento del canone in mani del comproprietario sottoscrittore e la possibilità per il comproprietario non firmatario di chiedere all’inquilino il pagamento del canone pro quota.
A tutti questi quesiti e molti altri interrogativi tenta di dare risposta la sentenza in commento, attraverso una ricostruzione dei precedenti giurisprudenziali di legittimità intervenuti sul punto, una successiva indicazione dei loro limiti in relazione all’ordinamento giuridico nel suo complesso e, infine, alla proposta di una soluzione di sintesi che sembra far “quadrare il cerchio.
La Suprema Corte introduce il discorso ricostruttivo partendo da due premesse individuate come comuni a tutti gli orientamenti giurisprudenziali analizzati:
- la stipula di un valido contratto di locazione NON è atto tipico del proprietario del bene locato, bensì del soggetto che, a qualunque titolo, ne abbia la legittima detenzione e possa, per conseguenza, adempiere all’obbligazione principale del locatore, ossia, porre il bene nella disponibilità del conduttore tramite la consegna delle chiavi;
- per corollario, il contratto di locazione avente ad oggetto un bene in comproprietà sottoscritto solo da uno dei comunisti (e, in particolare, quello che ne ha la disponibilità) è valida ed efficace senza la necessità della preventiva allegazione o dimostrazione dell’esistenza di un idoneo potere rappresentativo in capo al firmatario.
Da questi fondamenti comuni, si sono sviluppati tre filoni giurisprudenziali che si differenziano in base alla qualificazione giuridica attribuita al rapporto intercorrente tra comproprietario-locatore e comproprietario non locatore ed alle conseguenze nei rapporti tra quest’ultimo ed il conduttore.
Un primo orientamento qualifica detto rapporto in termini di mandato senza rappresentanza: il proprietario sottoscrittore è visto come mandatario dell’altro – o degli altri – comproprietari che, in virtù del disposto dell’art. 1705, c. 2, c.c., ben potranno riscuotere pro quota i loro crediti dall’inquilino, previa revoca del mandato conferito (si precisa che la riscossione dei canoni è l’unica azione cui il mandante non sottoscrittore è legittimato, stante la specificità della previsione normativa).
I limiti di questa impostazione sono evidenti: da un lato il conduttore, sebbene adempiente al pagamento del canone, rimarrà sempre esposto all’alea di eventuali future richieste da parte dei comproprietari non firmatari di cui, peraltro, potrebbe anche ignorare l’esistenza (a fronte di ciò, alla richiesta di pagamento ben potrebbe opporre l’intervenuto adempimento a mani del contraente facendo leva sulla solidarietà attiva dei creditori – eccezione che, stranamente, non è stata sollevata nella causa in parola); dall’altro il conduttore non potrà rivolgersi al comproprietario non contraente per richiedere l’adempimento degli obblighi tipici del locatore, non essendo questi parte contrattuale e, pertanto, non vincolato dallo stesso ex art. 1372 c.c.
Altrimenti detto, l’applicazione dell’art. 1705, c. 2, c.c. alla fattispecie non sopporta la struttura sinallagmatica del contratto di locazione che vuole una corrispondenza biunivoca dei diritti-doveri tra le parti corrispondenza che qui è esclusa in radice, prevedendo la norma la soggezione del conduttore alla facoltà potestativa del mandante di riscuotere il credito, ma non il correlativo potere del conduttore di rivolgersi direttamente al mandate per l’adempimento di prestazioni cui è contrattualmente tenuto il solo mandatario.
Si avrebbe, dunque, un istituto giuridico zoppo, che non può stare in piedi perché non garantisce in alcun modo la tutela dell’affidamento del terzo.
Nota poi la Cassazione che le sentenze di legittimità che hanno applicato l’art. 1705, c. 2, c.c. ai casi di locazione, NON si riferivano ad immobili in comunione, bensì ad immobili in proprietà esclusiva a soggetti terzi diversi dal contraente (che, avendo la disponibilità del bene, poteva validamente locarlo).
Peraltro, che la norma in esame non sia dettata per regolare ipotesi di immobili in comunione, si ricava anche da fatto che, mentre il comunista non contraente che richiede il pagamento pro quota del canone esercita sul bene un potere amministrativo diretto che gli deriva dal titolo, il mandante che richiede il pagamento dei canoni, esercita un potere di sostituzione piena del mandatario, il quale, appunto, viene previamente spogliato dell’incarico: l’esercizio di un potere di sostituzione, evidentemente, stride con le norme in materia di comunione che sanciscono il diritto di co-amministrazione del bene in capo a tutti i comproprietari.
Bocciato su tutta la linea questo indirizzo, la Corte si chiede se non si debba, piuttosto, abbracciare il secondo orientamento che colloca la fattispecie all’interno degli atti di ordinaria amministrazione validamente compiuti da uno dei comunisti nell’interesse proprio e, contemporaneamente, degli altri comproprietari in virtù del cd. mandato presunto o tacito.
Il mandato presunto o tacito si ha quanto, in relazione ad un atto di ordinaria amministrazione compiuto soltanto da uno dei comunisti, gli altri mantengano un comportamento passivo che fa presumere l’esistenza di consenso rispetto all’atto compiuto, con la conseguenza che il comunista contraente rivestirà il ruolo di mandatario tacito degli altri.
La presunzione di consenso determinante un rapporto di rappresentanza interno tra i comunisti, avrebbe la duplice funzione di estendere gli effetti del contratto anche ai comunisti non contraenti e di tutelare l’affidamento del terzo in ordine all’efficacia liberatoria verso tutti i potenziali proprietari creditori del pagamento eseguito a mani del solo contraente (così di superare i limiti individuati in relazione all’orientamento precedente).
Tuttavia, i quesiti sollevati non possono considerarsi risolti in quanto, come afferma la Suprema Corte, “desta invero perplessità la prospettazione dei rapporti tra comunisti in termini di mandato disgiuntivo, da escludersi n un sistema fondato sulla regola organizzativa opposta dell’amministrazione congiuntiva.”
Infine, il terzo indirizzo, pur sostenendo la validità del contratto di locazione stipulato da uno solo dei comproprietari e l’esistenza di un potere di rappresentanza tra i comunisti derivante dalla comunione, approda ad affermare che i proprietari non firmatari del contratto non hanno diritto di domandare il pagamento dei canoni all’inquilino (questa condotta costituirebbe una molestia che il conduttore dovrebbe segnalare al locatore per sollecitarne l’intervento ex artt. 1585, 1586), né sono tenuti alle obbligazioni contrattuali, ma possono soltanto agire contro il proprietario contraente che abbia incassato per intero il canone ovvero abbia compiuto altre attività pregiudizievoli agli interessi della comunione (ad esempio, non si sia attivato per un pronto rilascio a fine locazione).
Secondo questo indirizzo, i comproprietari non contraenti sarebbero completamente estranei al vincolo contrattuale mentre il contraente sarebbe un gestore d’affari e non un mandatario.
Questo terzo indirizzo, citato più per completezza che per importanza, viene assoggettato alle stesse critiche del secondo e, quindi, respinto.
Quid iuris, dunque?
Le Sezioni Unite propongono una quarta via e qualificano la fattispecie in esame in termini digestione di affari altrui ex art. 2028 c.c., “consentendo tale disciplina di offrire una soluzione che valga a contemperare gli interessi e le posizioni dei vari soggetti coinvolti”.
Perché si abbia gestione di affari altrui, sono necessari due elementi:
- la cd. absentia domini, ossia il compimento spontaneo di atti giuridici nell’interesse altrui in assenza di un obbligo legale, ovvero la realizzazione di atti produttivi di effetti positivi nella sfera giuridica altrui senza che vi sia opposizione o divieto dell’interessato;
- il cd. utiliter coeptum, ossia la produzione di un vantaggio in capo al medesimo generato da tale attività spontanea, vantaggio che si traduce in un guadagno o in una mancata perdita patrimoniale.
Il soggetto nella cui sfera giuridica il terzo interviene si trova, pertanto, a godere degli effetti benefici di tale azione a fronte della sua mera inerzia.
Questi elementi sono ravvisati come esistenti nell’ipotesi di concessione in locazione di un bene che appartiene pro quota anche a soggetti diversi dal contraente-locatore posto che, in assenza di opposizione, la conclusione del negozio èsplica effetti positivi di arricchimento anche nella sfera giuridica di costoro: la locazione, infatti, è un negozio destinato per sua natura a far fruttare il bene comune e l’interesse a percepire i frutti deve presumersi sussistente anche in capo al comproprietario non locatore che non abbia manifestato opposizione.
In quest’ottica, dunque, per un verso il contatto concluso spiega effetti anche nei confronti dei non firmatari, che sono tenuti alle obbligazioni da esso scaturenti e, per altro verso, onerando il comproprietario non coinvolto nel negozio ad opporsi prima della stipula, protegge il conduttore dalle sue eventuali pretese.
Oltre che rimanere inerte od opporsi, il comproprietario non locatore può, infine, ratificare exart. 2032 c.c. l’operato del comproprietario firmatario, producendo in relazione alla gestione gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, ovvero costituendo in capo a sè il diritto di richiedere all’inquilino, in contraddittorio con l’altro comproprietario, il pagamento pro quotadel canone per le mensilità successive alla ratifica ex art. 1705, c. 2, c.c.
Laddove di tratti di gestione non rappresentativa, si precisa, la legittimazione attiva del ratificante sarà limitata alla richiesta di pagamento e non estesa alle altre azioni derivanti dal contratto, posto che la norma in parola limita la facoltà di sostituzione del mandatario al mandante al solo recupero del credito.
Quindi, ricapitolando, il comproprietario non sottoscrittore può:
- rimanere inerte di fronte alla gestione utile compiuta dal firmatario; in questo caso avrà diritto a godere degli effetti benefici del contratto nonché, ex art. 2031 c.c., sarà tenuto ad adempiere le obbligazioni contrattuali assunte dal firmatario in suo nome (cioè le obbligazioni del tipiche del locatore), a tenere indenne il gestore da quelle assunte da costui in nome proprio (perciò non c’è un obbligo contrattuale diretto rispetto al conduttore, ma un obbligo di manleva nei confronti del gestore) e rimborsargli le spese sostenute per la gestione;
- opporsi alla gestione prima della stipula del contratto; in questo caso rimarrà completamente estraneo agli effetti contrattuali, non avrà diritti, né obblighi;
- ratificare l’operato del gestore, dando, così, vita ad un mandato vero e proprio.
L’interpretazione della Suprema Corte suscita qualche osservazione.
La Cassazione, incidentalmente, ricorda la distinzione tra gestione rappresentativa egestione semplice: si ha la prima quando il gestore agisce nell’interesse altrui spendendo il nome altrui; si ha la seconda quando agisce nell’interesse altrui in nome proprio.
Ciò premesso, in relazione a fattispecie di locazione di beni in comproprietà sottoscritte da solo uno dei comproprietari, sorge spontaneo chiedersi come possa il comproprietario firmatario agire nell’interesse altrui spendendo il nome altrui: sarebbe come ammettere che nel testo contrattuale sia indicato il nominativo di un comproprietario diverso dal firmatario che sottoscrive.
In caso di locazione di bene in comproprietà, laddove il contratto sia perfezionato solo da uno dei comproprietari, appare più corretto dire che il firmatario agisce anche nell’interesse altrui, spendendo il noome proprio con la conseguenza che, dunque, potrà porre in essere sempre e solo gestioni d’affari semplici o non rappresentative.
In quest’ottica, dunque, la distinzione operata dalla Corte appare priva di significato.
(Peraltro, a voler ammettere che il locatore indichi espressamente in contratto di agire in nome proprio e degli altri comproprietari, si risolverebbe il problema a monte, perché il conduttore, reso edotto dell’esistenza degli altri comproprietari, in virtù della normale diligenza ed al fine di tutelarsi, ben potrebbe pretendere la sottoscrizione del contratto da parte di tutti i comproprietari).
Se, dunque, la gestione posta in essere dal comproprietario potrà essere solo “semplice”, si creerà una situazione di squilibrio contrattuale sfavorevole al comproprietario non firmatario ratificante, perché costui da un lato sarà tenuto verso il conduttore a tutte le obbligazioni nascenti da contratto, ma dall’altro potrà agire nei suoi confronti solo per il recupero del credito e non anche per il recupero del bene.
Ci si chiede, poi, se si possa correttamente parlare di “gestione di affari altrui” quando si agisce anche nell’interesse proprio: la contraddizione in termini è di per sé evidente o, per dirla con la Cassazione, desta perplessità, a meno di non coniare un tertium genus che potremmo definire gestione impropria o mista, istituto nuovo per il quale occorrerebbe individuare una disciplina applicabile.
Infine, con riferimento agli effetti della ratifica, si evidenzia che l’art. 2032 c.c. richiama il 1399 c.c. che, espressamente, prevede l’ effetto retro attivo della ratifica, evidentemente dal momento di perfezionamento del contratto stesso.
Ora, se così fosse, il comproprietario non firmatario ratificante, potrebbe richiedere all’inquilino il pagamento pro-quota di tutte le mensilità di canone, dalla stipula in poi, con la conseguenza che anche la tutela dell’affidamento del terzo, data per salva, verrebbe compromessa.
La pronuncia in esame, sebbene assolutamente pregevole e di gran nota, presenta criticità irrisolte ed il cerchio, dunque, è tutt’altro che chiuso.
(Altalex, 11 ottobre 2012. Nota di Marta Buffoni)