In materia di “chiarezza e motivazione degli atti”, le cartelle esattoriali emesse dall’Ente della Riscossione devono essere annullate se richiamano una fattispecie normativa del tutto “diversa”, rispetto a quella contestata al contribuente.
Non solo: se il provvedimento impugnato è il primo notificato all’interessato, deve essere allegato il documento/atto, dal quale trae l’origine il debito fiscale (art. 7, L. n. 212/2000).
A queste conclusioni sono approdati i giudici lucchesi con la recente sentenza n° 136/16 depositata in data 26.02.2016, con la quale hanno accertato come illegittima la richiesta erariale di oltre €. 600.000,00, a titolo di Irpef, Ires, Iva ed Irap a carico del contribuente per carenza di motivazione, condannando Equitalia al pagamento delle spese legali per la somma di €. 6.000,00.
I fatti del processo
Il contribuente, in qualità di “coobbligato”, veniva chiamato a rispondere del debito di circa €. 600.000 imputato ad altro soggetto (c.d. società scissa), per effetto dell’atto di scissione parziale sottoscritto (art. 15, D. Lgs. n° 472/97), mediante la notifica di n° 6 cartelle esattoriali di Equitalia.
Da un punto di vista fiscale, il citato art. 15, il quale disciplina anche la vicenda della scissione aziendale, stabilisce (comma 2) che “nei casi di scissione anche parziale di società od enti, ciascuna società od ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto”.
Ebbene, il ricorrente – nella propria tesi difensiva – eccepiva le seguenti considerazioni:
1) illegittimità delle cartelle per decadenza dell’azione accertativa (art. 25, D.P.R. n° 600/73).
In particolare, in materia di decadenza per crediti fiscali derivanti dal controllo formale (procedura automatizzata), l’art. 25 del D.P.R. n° 602/73 afferma che “il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’art. 36bis del D.P.R. n° 600/73”.
A ciò si aggiunga pertanto che i termini indicati nella norma citata per la notifica della cartella di pagamento sono di natura tassativa così che, a prescindere da quando l’Ufficio ha formato il ruolo o lo ha trasmesso all’Agente della Riscossione, la notifica della cartella oltre il termine previsto da tale precetto comporta la nullità della procedura di riscossione[1], in quanto il ruolo è stato emesso tardivamente.
La giurisprudenza della Suprema Corte è concorde sul fatto che i termini indicati nell’art. 25 del D.P.R., n°602/73 sono da considerarsi perentori, in ragione della necessità di non lasciare il contribuente esposto indefinitivamente all’azione esecutiva dell’Amministrazione finanziaria[2].
2) carenza di motivazione “documentale”: da un lato, i provvedimenti impugnati erano stati emessi ai sensi dell’art. 36 bis, D.P.R. n° 600/73, ma riferite alla Dichiarazione fiscale di altro soggetto, ossia la società scissa e dall’altro nelle cartelle veniva inquadrata la fattispecie come cessione di azienda (art. 14, D. Lgs. n° 472/97), mentre si trattava di scissione parziale (art. 15, cit.).
La decisione
L’Organo giudicante adito – accogliendo il ricorso – ha osservato che le cartelle erano illegittime in quanto costituivano “il primo atto formale ricevuto dalla ricorrente, non essendo la stessa mai stata raggiunta da precedenti accertamenti che hanno riguardato unicamente” la società scissa.
Ad ogni buon conto, i provvedimenti erano da annullare, atteso che richiamavano un “errato riferimento normativo” (cessione di azienda) e non scissione parziale, “cosa del tutto diversa e diversamente regolata”.
Proprio in tema di “motivazione”, nelle cartelle impugnate, notificate preliminarmente al debitore originario (società scissa), ai sensi dell’art. 36 bis, D.P.R. n° 600/73 e art. 54 bis, D.P.R. n° 633/72, l’origine del debito fiscale nasceva dalla Dichiarazione UNICO del soggetto iscritto a ruolo (non della ricorrente, quindi).
In altri termini, i riferimenti sia alla Dichiarazione tributaria del debitore originario (scissa), sia alle comunicazioni intercorse tra l’Ufficio e tale contribuente, erano evidentemente del tutto sconosciuti al ricorrente, soggetto estraneo alla vicenda.
Per tale ragione, anche i giudici hanno ritenuto come inesistente la motivazione, ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 212/2000, il quale prevede che, in tema di “chiarezza e motivazione degli atti”, questi ultimi devono essere “motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n° 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche”.
Non solo, così conclude il comma 1: “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
In breve, in mancanza di dettagliati elementi motivazionali, la cartella non può che essere dichiarata nulla, da un lato per carenza di motivazione, nonché di omessa collaborazione tra Fisco e contribuente (art. 10, Legge n. 212/2000) e dall’altro per palese violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), in quanto il contribuente non è in grado di esercitare i propri diritti (l’origine del debito è generico, pertanto inammissibile).
La motivazione è il “cuore pulsante” di ogni atto amministrativo (inclusa la cartella esattoriale, soprattutto nelle ipotesi in cui rappresenta il primo provvedimento notificato all’interessato) e non può il Fisco colmare la grave lacuna con la difesa che la motivazione è una “semplice esemplificazione”, come risulta dagli atti del processo.
In altri termini, nelle cartelle esattoriali viene indicata nella motivazione una tipica fattispecie di cessione di azienda (art. 14), mentre nelle successive difese dell’Ufficio, quest’ultimo – prendendo coscienza dell’errato inquadramento normativo – rettifica la propria motivazione, virando verso un’ipotesi di scissione parziale (art. 15), non menzionata nella cartella di pagamento.
Proprio sul punto, l’art. 23 del D. Lgs. 546/92 (“Costituzione in giudizio della parte resistente”) sancisce che “nella controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente”[3].
In conclusione, essendo pacifica la “effettiva incongruità motivazionale” degli atti “suscettibili di esecuzione”, questi ultimi risultavano sforniti della motivazione, la quale deve essere “sufficiente ed intellegibile come per ogni provvedimento amministrativo”(art. 3 della L. n. 241/90 e art. 7 della L. n. 212/2000), con il fine di far comprendere al contribuente la richiesta e consentendo a quest’ultimo di poter esercitare validamente il proprio diritto di difesa (art. 24 Cost.).