La sentenza 3 ottobre 2013, n. 22585 della Cassazione Civile si aggiunge ad altri importanti precedenti giurisprudenziali nel delicato compito di definire con la dovuta attenzione le diverse categorie di danno indiretto come il danno biologico, il danno morale ed il danno derivante dalla lesione di altri interessi costituzionalmente protetti che da tempo sono oggetto di diverse e continue interpretazioni giurisprudenziali.
Il caso di specie è rappresentato dal grave infortunio subito da un dirigente chimico in servizio presso l’Istituto regionale della Vite e del Vino, che, durante lo svolgimento del proprio lavoro, nel percorrere una rampa di scale che conduceva ad un laboratorio inciampava cadendo nello spazio vuoto esistente tra i due montanti di sostegno del passamano della scala.
Naturalmente un evento di simile gravità ha determinato nel primo grado di giudizio l’individuazione di specifiche responsabilità a carico di diversi dirigenti dell’Istituto e dello stesso Istituto con conseguente condanna dei responsabili al risarcimento, ciascuno per la sua quota, del danno morale, biologico, non patrimoniale e naturalmente del danno patrimoniale.
In secondo grado, invece, la Corte di Appello ha escluso la responsabilità dei dirigenti riconoscendo una residua responsabilità solo a carico dell’Istituto con una cospicua limitazione degli importi risarcitori.
Tale ultima decisione non soddisfa ovviamente il danneggiato e l’Istituto che, quindi, si rivolgono alla Suprema Corte per ottenere un responso definitivo.
In tale contesto la Corte di Cassazione coglie l’occasione per fissare ed in alcuni casi ribadire importanti principi in tema di individuazione di responsabilità nell’ambito di un ente pubblico e di configurazione delle diverse categorie di danno non patrimoniale.
Innanzitutto, viene affermato l’indiscusso principio che secondo cui non è legittimamente ipotizzabile la responsabilità di un ente in assenza della speculare ed espressa affermazione di responsabilità del/dei soggetti che abbiano agito in sua rappresentanza (intesa quest’ultima in senso organico).
Difatti, come sostenuto da precedenti autorevoli sentenze (tra le tante, Cass. 2089/2008 e 3980/2003) la responsabilità aquiliana degli enti si fonda proprio sul rapporto organico con le persone fisiche che li rappresentino, oltre che sulla relazione che lega gli enti stessi a tutte le altre persone fisiche inserite nell’organizzazione burocratica o aziendale.
Inoltre, sostiene sempre la S.C. è principio di diritto consolidato che delle carenze strutturali degli immobili (quali certamente quelle da cui risultava caratterizzata la scala delle sede dell’Istituto), rispondono gli organi apicali (“l’organo politico di vertice”, secondo il dictum di Cass. n. 21010 del 2006) ed al fine di affermare la responsabilità di un dipendente amministrativo addetto ad un determinato servizio gestito da una pubblica amministrazione, occorre considerare la ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze, i limiti della delega ottenuta e le funzioni in concreto esercitare, e distinguere tra carenze strutturali, addebitabili ai vertici dell’ente, e deficienze derivanti dall’ordinario buon funzionamento, delle quali è tenuto a rispondere il funzionario addetto al settore secondo la ripartizione interna e istituzionale delle specifiche competenze.
Sancito tali principi fondamentali in tema di individuazione di responsabilità, la Corte di Cassazione sposta poi la sua attenzione sul delicato argomento dei danni non patrimoniali e richiamando proprie precedenti sentenze (per tutte Cass. n. 20292/2012) ribadisce che sino a tutto l’anno 2006, era del tutto pacifico quel principio di natura giurisprudenziale della netta separazione, concettuale e funzionale, del danno biologico, del danno morale e del danno derivante dalla lesione di altri interessi costituzionalmente protetti.
In tale ottica, le stesse famose “tabelle” in uso presso il tribunale di Milano, che assumeranno poi dignità di generale parametro risarcitorio per il danno non patrimoniale, ne prevedevano una separata liquidazione, indicando, in particolare, nella misura di un terzo la percentuale di danno biologico utilizzabile come parametro per la liquidazione del (diverso) danno morale subbiettivo.
Nella liquidazione del danno biologico, però, il legislatore del 2005 ebbe a ricomprendere quella categoria di pregiudizio non patrimoniale, oggi circoscritta alla dimensione di mera voce descrittiva, che, per voce della stessa Corte costituzionale, era stata riconosciuta e definita come danno esistenziale: è lo stesso Codice delle assicurazioni private ad affrontare, difatti, quegli aspetti “dinamico relazionali” dell’esistenza che costituiscono danno ulteriore (rectius, conseguenza dannosa ulteriormente risarcibile) rispetto al danno biologico strettamente inteso come compromissione psicofisica da lesione medicalmente accertabile.
Ma giustamente si domanda la Corte: quid iuris qualora (come nel caso di specie) un danno biologico manchi del tutto, e il diritto costituzionalmente protetto risulti diverso da quello di cui all’art. 32 Cost., sia cioè, altro dal diritto alla salute (che il costituente, non a caso, ebbe cura di non definire inviolabile – al pari della libertà, della corrispondenza e del domicilio – bensì fondamentale)?
Ebbene riguardo il danno morale la S.C richiama una propria precedente sentenza e precisamente la n. 18641/2011 mediante la quale ha già avuto modo di affermare che sussiste sempre ed ha autonoma rilevanza la fattispecie del danno morale intesa come voce integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale. Tale interpretazione è del resto ampiamente confermata dall’emanazione di due successivi provvedimenti: il D.P.R. n. 37/2009, e il D.P.R. n. 181/2009, in seno ai quali una specifica disposizione normativa (l’art. 5) ha inequivocamente resa manifesta la volontà del legislatore di distinguere, morfologicamente prima ancora che funzionalmente, tra la voce di danno c.d. biologico da un canto, e la voce di danno morale dall’altro.
Riguardo il danno parentale la S.C. ritiene che vadano senz’altro ristorati anche gli aspetti relazionali propri del danno da perdita del rapporto parentale inteso come danno esistenziale.
Chiarita, quindi, l’ indiscussa autonomia del danno morale rispetto non soltanto a quello biologico (escluso nel caso di specie), ma anche a quello “dinamico relazionale” la S.C. analizza il quesito posto dalla parte ricorrente in merito all’autonoma configurabilità del risarcimento di danni “esistenziali”.
L’organo giudicante fondandosi su precedenti pronunce di fondamentale importanza come quelle del 2008 ritiene di dover affermare come principio di carattere generale quello della indiscussa risarcibilità di tutte quelle situazioni soggettive costituzionalmente tutelate (diritti inviolabili o anche “solo” fondamentali, come l’art. 32 Cost., definisce la salute) diversi dalla salute, e pur tuttavia incise dalla condotta del danneggiante oltre quella soglia di tollerabilità indotta da elementari principi di civile convivenza (come pure insegnato dalle stesse sezioni unite).
D’altro canto la stessa (meta) categoria del danno biologico fornisce a sua volta risposte al quesito circa la sopravvivenza del c.d. danno esistenziale, se è vero come è vero che “esistenziale” è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute, si colloca e si dipana nella sfera dinamico relazionale del soggetto, come conseguenza, si, ma autonoma, della lesione medicalmente accertabile.
Di conseguenza, anche sul presupposto dell’esame dell’art. 612-bis c.p., è possibile individuare i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo: il dolore interiore, e la significativa alterazione in pejus della vita quotidiana. Si tratta di danni diversi e, perciò solo, entrambi autonomamente risarcibili, ma solo se rigorosamente provati caso per caso, al di là di sommarie ed impredicabili generalizzazioni. Ed è proprio sulla scorta di tali considerazioni che la stessa Corte ritiene lecita la configurazione del danno esistenziale come “indefinita e atipica”.