Intrattenere una relazione extraconiugale nell’abitazione familiare integra il reato di maltrattamenti ai danni della moglie.
E’ quanto emerge dalla vicenda esitata nella sentenza della Corte di Cassazione (Sezione III Penale, sentenza 21 febbraio – 3 aprile 2017, n. 16543), nella quale l’atto di infedeltà, che ex se è penalmente irrilevante, ancorchè moralmente censurabile, viene sussunto nella fattispecie dei maltrattamenti (art. 572 c.p.) in quanto ritenuto idoneo a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali, per il contesto in cui è stato posto in essere e per l’abitualità della condotta in cui si è esplicato.
La vicenda
Denunciato dalla moglie, l’imputato veniva condannato alla pena di anni cinque di reclusione per i reati di violenza sessuale, atti osceni, maltrattamenti, minacce e violenza privata, con sentenza resa in sede di giudizio abbreviato condizionato, confermata in grado di appello.
Avverso tale pronuncia interponeva ricorso per cassazione deducendo il vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità penale per tutti i reati, al diniego di assorbimento dei reati di minacce e di violenza privata in quello di maltrattamenti e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Argomentava, nell’atto di impugnazione, che l’affermazione di responsabilità per i reati contestati era stata fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, peraltro costituita parte civile, che il reato di maltrattamenti (nel quale non erano stati erroneamente ritenuti assorbiti quelli di minacce e violenza privata) non poteva essere configurato nell’avere intrattenuto una relazione extraconiugale, e non poteva esser ritenuto provato dalla circostanza che l’amante fosse stata presente nel momento in cui i Carabinieri si erano recati nell’abitazione dell’imputato per redigere la relazione di servizio a seguito della denuncia della moglie. Evidenziava, ancora, che il reato di atti osceni non sussisteva in quanto il luogo in cui sarebbe avvenuto, ovvero l’aperta campagna, non poteva integrare il luogo pubblico o aperto al pubblico. Chiedeva, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
La sentenza della Corte
La pronuncia della Corte di Cassazione è senz’altro di interesse per i diversi profili sostanziali e processuali sui quali è intervenuta, alcuni per vero pacifici nella giurisprudenza di legittimità.
Preliminarmente la Corte si è pronunciata sul reato di atti osceni, disponendo l’annullamento in parte qua della sentenza di condanna e la trasmissione degli atti al Prefetto territorialmente competente in quanto, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, la relativa fattispecie è stata trasformata in illecito amministrativo.
In merito al reato di maltrattamenti, la Corte ha ritenuto che i giudici teritoriali avessero adeguatamente motivato l’attendibilità intrinseca ed estrinseca della prova del medesimo reato, raggiunta in base alle dichiarazioni della persona offesa, constatando come la condotta di sopraffazione e umiliazione che l’imputato aveva inflitto alla moglie con l’intrattenere una relazione adulterina all’interno della casa coniugale e con l’imporne alla moglie l’accettazione mediante minacce, avesse trovato riscontro nella relazione di servizio dei Carabinieri e nel contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l’imputato e la persona offesa.
Donde la piena configurabilità del reato di maltrattamenti attesa l’abitualità del comportamento vessatorio posto in essere con atti che, isolatamente considerati, sarebbero pure non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma che, posti in essere reiteratamente, erano stati idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali.
Il profilo processuale di interesse è la precisazione, conformemente all’indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono da sole essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, purchè venga rigorosamente vagliata la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca del suo racconto, in ragione del fatto che trattasi di soggetto portatore di un interesse antagonista rispetto a quello dell’imputato.
In altre parole la prova della responsabilità può essere desunta anche solo dal racconto della persona offesa, senza bisogno di riscontri estrinseci, nella misura in cui lo stesso sia sottoposto, con esito positivo di cui occorre dar conto in motivazione, a un vaglio penetrante di credibilità soggettiva e oggettiva.
La Corte ha invece accolto il ricorso per la parte relativa all’assorbimento dei delitti di violenza privata e minacce in quello di maltrattamenti, considerando i primi, in ragione della coincidenza temporale e del nesso finalistico, proprio gli episodi vessatori nei quali si è esplicata, unitamente alla imposizione di una relazione adulterina sotto il tetto coniugale, la condotta materiale del secondo.
Sulla scorta delle motivazioni come sopra sommariamente riportate, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio limitatamente al delitto di atti osceni e ha ritenuto assorbiti i reati di minacce e violenza privata in quello di maltrattamenti, rigettando il ricorso nel resto.